E' che mi chiedevo se la più grande fatica è riuscire a non far niente, a lasciare tutto com'è, fare quello che ti viene e non andare dietro la gente. È che mi perdevo dietro a chissà quale magia, quale grande canzone in un cumulo di pietre. Sassi più o meno preziosi e qualche ricordo importante che si sente sempre. È che mi lasciavo trascinare in giro dalla tristezza, quella che ti frega e ti prende le gambe, che ti punta i piedi in quella direzione opposta, così lontana dal presente. Ma noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano, e gli occhiali li tolgono e con l’acceleratore fino in fondo le vite che sfrecciano. E vai e vai che presto i giorni si allungano e avremo sogni come fari, avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici degli animali. È che mi voltavo a guardare indietro e indietro ormai per me non c’era niente, avevo capito le regole del gioco e ne volevo un altro, uno da prendere più seriamente. È che mi perdevo dietro chissà quale follia, quale grande intuizione tra piatti sporchi e faccende, tra occhi più o meno distanti e qualche ricordo importante che si sente sempre. E più di una volta e più di un pensiero è stato così brutto da non dirlo a nessuno. Più di una volta sei andato avanti dritto dritto, sparato contro un muro, ma ti sei fatto ancora più male aspettando qualcuno. Siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano, e gli occhiali li perdono e sulle autostrade così belle le vite che sfrecciano. Siamo quelli che guardano una precisa stella in mezzo a milioni, quelli che di notte luci spente e finestre chiuse non se ne vanno da sotto i portoni, quelli che anche voi chissà quante volte ci avete preso per dei coglioni. Ma quanto siete stanchi e senza neanche una voglia. Siamo noi quei pazzi che venite a cercare.
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